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Il Restauro del Monumento equestre di Bernabò Visconti

Milano, Castello Sforzesco

“D’oro e d’argento è coperto il barone”: così affermava Matteo da Milano negli ultimi decenni del Trecento, nel Lamento funebre di Bernabò Visconti, la prima descrizione nota del prezioso manufatto in marmo di Candoglia realizzato da Bonino da Campione e collaboratori nella seconda metà del XIV secolo.

La finissima decorazione realizzata in lamina d’oro, diffusa su tutta l’opera, faceva capolino al di sotto di un pesante deposito di sporco quando, nel 2001, avevamo avuto l’opportunità di effettuare una lieve pulitura superficiale ed un primo studio ravvicinato che aveva già portato ad interessanti risultati, convogliati nella pubblicazione curata da Graziano Vergani L'arca di Bernabò Visconti al Castello Sforzesco di Milano. Nel corso dell’intervento ci eravamo già resi conto delle problematiche che una pulitura più approfondita, quanto mai necessaria, avrebbe sollevato. Dove i decori erano caduti, sul marmo restava un’impronta chiara del loro andamento. In molte zone la doratura non c’era più, ma i motivi decorativi rimanevano leggibili nonostante la perdita del materiale originario, anche se con un effetto in negativo. Cosa sarebbe accaduto rimuovendo lo sporco che creava un contrasto evidente con l’impronta chiara lasciata dalla lamina caduta? Questa è rimasta la nostra prima preoccupazione affrontando il restauro nel 2015, reso possibile grazie al contributo della Fondazione Cariplo. Era necessario mettere a punto un metodo di pulitura che garantisse ancora la possibilità di individuare chiaramente l’andamento dei decori.

Un secondo problema era rappresentato dal fatto, di cui si è avuta conferma nel corso dell’attuale intervento, che l’opera è costituita da più elementi di reimpiego assemblati tra loro, con caratteristiche e vicissitudini conservative diverse. Il monumento era stato inoltre sottoposto nel tempo a ripetuti interventi di manutenzione e presentava pertanto una disomogeneità cromatica molto evidente; il tono appariva decisamente più scuro dal basso verso l’alto a causa delle numerose cerature che avevano inglobato lo sporco, stese con più frequenza nelle parti inferiori più accessibili.

Si è quindi reso necessario eseguire vari test preliminari per poter mettere a punto modalità di intervento e materiali, e operare in modo differenziato da zona a zona al fine di ottenere un risultato omogeneo. Nella zona inferiore, soprattutto sul basamento si è reso necessario intervenire ripetutamente per ammorbidire e rimuovere il deposito nerastro di sporco operando oltre che per via chimica anche per via meccanica.

La preoccupazione iniziale è stata superata dai risultati ottenuti: non solo sono stati conservati i contrasti tra le superfici ripulite e le impronte lasciate dai decori caduti, ma in molti casi alcuni dettagli prima non più percepibili sono ritornati leggibili. E’ il caso, per esempio, della raffigurazione di un cane latrante tra due alberi presente sul cartiglio della figura allegorica della Fortezza, la cui originale presenza ci era nota attraverso un’acquaforte del 1824.

Il restauro è stato costantemente affiancato da uno studio approfondito condotto congiuntamente con la Direzione Lavori e con il coinvolgimento di vari specialisti tra storici dell’arte, petrografi, botanici, epigrafisti, studiosi di araldica e di tessuti. L’opera è stata dettagliatamente documentata attraverso fotografie, analisi non invasive all’UV e con videomicroscopio a fibre ottiche e attraverso rilievi grafici riguardanti la tecnica esecutiva, lo stato di conservazione e gli interventi precedenti.

Sono inoltre stati rilevati in scala 1:1 tutti i moduli decorativi presenti sul monumento. Ciò ha richiesto un notevole impegno considerata la straordinaria varietà e quantità dei decori. Dal momento che le tracce erano spesso frammentarie si è reso necessario eseguire il rilievo in più zone per poter comprendere e completare il decoro, come per esempio per lo sviluppo della decorazione delle colonne dove, attraverso il rilievo si è potuto comprendere che il modulo decorativo è costituito da due gigli affiancati e si ripete due volte su ognuna delle colonne.

La meticolosa rilevazione di ogni decoro costituisce un repertorio che potrà risultare di straordinaria importanza per futuri studi e confronti. Tale lavoro è ancor più importante se si considera che altre opere storicamente e stilisticamente affini quali le arche scaligere di Verona, esposte in esterno per secoli e soggette agli agenti atmosferici, hanno perso molte informazioni sia riguardo il modellato del materiale lapideo sia l'originaria decorazione a base di pigmenti e lamine metalliche, di cui non rimangono che tracce estremamente esigue. L'arca di Bernabò Visconti fortunatamente è sempre stata conservata in ambienti confinati o semi-confinati e questo fattore ha preservato il prezioso apparato decorativo dal degrado per dilavamento ed erosione.

Le analisi conoscitive condotte nel corso dell’intervento, finalizzate allo studio dei materiali costitutivi in funzione del restauro hanno apportato informazioni di importanza fondamentale nello studio della tecnica esecutiva del manufatto, tra cui l'inaspettata scoperta di pigmenti preziosi e lamine metalliche alterati e pertanto non immediatamente riconoscibili: l'impiego della lamina d'argento per i capelli, la barba, la cotta di maglia e parte dell’armatura di Bernabò, la presenza di cinabro in più punti del monumento, annerito a causa dell’alterazione in metacinnabrite, nonché rare tracce di azzurro lapislazzuli.

Per maggiori informazioni: A.R. Nicola, G. Acuto, Il Monumento di Bernabò Visconti al Castello Sforzesco di Milano tra studio e restauro: scelte di metodo per la pulitura e raccolta dati per futuri studi e confronti in Lo Stato dell’Arte 13. Atti del XIII Congresso Nazionale IGIIC - Centro Conservazione e Restauro la Venaria Reale – Torino 22/24 ottobre 2015

Manualità, tecnologia e scienza in una bottega artigiana del restauro

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